Soapopera (opera prodotta in collaborazione con Fondazione Made in Cloister con il sostegno di Mibac e Siae nell'iniziativa Sillumina 2017: Copia privata per i giovani e per la cultura)
architettura effimera: pavimentazione formata di mattonelle in sapone realizzate con pigmenti naturali e con sabbia vulcanica. l’installazione prevede un atto performativo di lavaggio della porzione di pavimento da parte di un’incaricato alle pulizie., pavimento
dimensioni variabili in base allo spazio espositivo e alle esigenze installative
Soapopera
architettura effimera: pavimentazione formata di mattonelle in sapone realizzate con pigmenti naturali e con sabbia vulcanica. l’installazione prevede un atto performativo di lavaggio della porzione di pavimento da parte di un’incaricato alle pulizie., pavimento
dimensioni variabili in base allo spazio espositivo e alle esigenze installative
Peeling
installazione e performance collettiva sulle pareti di un museo di arte contemporanea, scultura di gomme da cancellare,sezionamento delle pareti del museo di villa croce di genova, 3 giorni di cancellazione
variabili
Big Babol
sedute psicoterapeutiche con il paziente ”venezia” in collaborazione con la psicoterapeuta laura castellani, installazione di sculture, frottage e gelatine d’acqua, calchi in gomma siliconica di elementi architettonici della citt
variabili
Soapopera
2018-2019
In collaborazione con l’architetto Giuseppe Ricupero.
Opera
prodotta in collaborazione con Fondazione Made in Cloister con il sostegno di
Mibac e Siae nell'iniziativa Sillumina 2017: Copia privata per i giovani e per
la cultura.
Dietro a quinte silenti di passaggi in sapone sono nascoste o manifeste le abitudini sociali e culturali di una porzione di mondo. Il corpo fisico, come la pelle, si può facilmente associare allo spazio così come ai luoghi che l’uomo erige a protezione, lucro o divinazione. L’odore intenso di olii essenziali, unito al materiale fondativo della pavimentazione originale dell’installazione,
può direzionare l’attenzione su comportamenti individuali e e collettivi di prevenzione per il benessere fisico comparandolo alle misure “igieniche” che si conferiscono ai beni materiali e culturali. Attraverso uno sviluppo “a terra” di un paesaggio orizzontale di vani privati o spaccati esterni che evocano molti altrove, si interrogano alcune abitudini e luoghi socialmente battuti quali l’ossessione per la cura del corpo e dei propri contorni spaziali e psicologici. L’annullamento ossessivo delle proprie tracce olfattive e corporee attraverso un detergente, può rappresentare una modalità affine alla “tutela finzionale” o alla conservazione talvolta devitalizzante di un patrimonio artistico che perde anch’esso il proprio odore per assumerne altri. Il patrimonio culturale infatti, rinvenuto, oggettivato e riconosciuto come eredità, dopo essere stato sottratto al proprio tempo, è oggi regolamentato da politiche di conservazione, manutenzione e valorizzazione che sperano di assicurarne una fruizione sempre più inclusiva e democratica. L’ansia di detenere un tesoro mortale fra le mani e le relative azioni di super tutela e salvaguardia, ne garantiscono certamente l’esistenza ma ne normano le prassi di utilizzo e interazione precludendone l’uso e l’energia vitale. Associando il dibattito critico sul patrimonio al corpo fisico e politico, si può dire che come corpi siamo arrivati ben oltre la semplice pulizia igienica per evitare la proliferazione di malattie, così come la tutela dei luoghi supera il concetto di salute di un bene. La storia naturale dell’igiene ci mostra che essa è legata ad un’antica storia evolutiva. Si considera igiene un numero vario di comportamenti che la maggior parte degli animali e uomini attua per evitare infezioni. Contro il disgusto, la sporcizia, gli escrementi, il pericolo di contaminazione ma anche contro il contatto di cose e persone sgradite (il disgusto dell’estraneo), di volta in volta le società classificano oggetti ed eventi come sporchi o puri. La sporcizia si lega al disgusto ed è un evento in primis biologico poi stratificato in costrutti culturali e sociali di varia entità. Da questi costrutti nascono pregiudizi per il diverso e il proliferare di tabù nei confronti dei cosiddetti “lavori sporchi”. Soapopera avvia così su queste note, attraverso il concetto ampio di pulizia, una riflessione critica iniziale su ciò che gli esseri umani creano e producono e solo talvolta accettano o consumano con profondità perché occupati a igienizzare, inquadrare, valorizzare, musealizzare e mettere in conserva ancora prima di aver concluso la digestione del solo sguardo. E’ una riflessione sul bene comune e sulla cura, sul lavoro e sui comportamenti sociali rispetto ad esso. A Napoli è costume narrare che i “saponari” andassero di casa in casa a barattare saponette scadenti in cambio di altri beni materiali. L’immagine del saponaro ambulante richiama a presenza altre figure contemporanee di venditori (autori, galleristi, musei) e di oggetti in maschera (opere, monumenti, feticci, oggetti comuni).
Una dimensione variabile di metri quadrati di superficie verticale in sapone, sformato in svariate mattonelle dalle geometrie e tonalità differenti, sono state realizzate artigianalmente grazie alla collaborazione con gli artigiani napoletani Kiphy Saponi. L’aspetto da sezione archeologica è espediente formale e narrativo che il linguaggio contemporaneo ha assunto e serve da pantomima
ad una certa retorica emergenziale di assistenza, rigenerazione e recupero urbano. Il compimento dell’opera, che può avvenire solamente qualora il materiale-pavimento si faccia strumento per l’auto-abluzione dissolvendo così la sua stessa corporeità, allude all’artista che, vicino a Don Quichotte produce i suoi stessi mulini per il vento con grande dispendio di energie vendendo o donando, talvolta inconsistenza, talvolta ricchezza. Attraverso l’utilizzo dell’installazione, che si posiziona come ennesima superfetazione gentile e temporanea, si chiamano a presenza diverse temporalità in uno stesso spazio – tempo. Il tempo richiamato è un tempo accelerato che ospita in contemporanea varie fasi ipotetiche dell’uomo - manufatto, dalla nascita alla sua trasformazione.
Biografia
Nuvola Ravera ha studiato Pittura all’Accademia di Belle Arti di Genova, frequentato un master in fotografia contemporanea al Cfp Bauer di Milano, Cinema e video all’Accademia di Belle Arti di Brera - Milano e l’ Hochschule für Grafik und Buchkunst- Lipsia. Ha affiancato svariati artisti nella produzione di selezionati progetti tra cui Armin Linke a Berlino, Bouchra Khalili a Genova e Giorgio
Andreotta Calò. Vive e lavora a Venezia dove nel 2016/17
ha partecipato al programma di residenza di Bevilacqua La Masa e attualmente sta concludendo l’università IUAV presso il dipartimento di Arti visive. Al momento sta prendendo parte ad un periodo di formazione in mediazione etnoclinica presso il centro studi Sagara.
Ha esposto e collaborato con diverse istituzioni tra cui: Museo di Arte Contemporanea Villa Croce a Genova, Museo del Novecento di Napoli, Fondazione BLM, Museo di Aveiro, Atelierhaus Salzamt di Linz, Fabbrica del Vapore di Milano, Fondazione Pistoletto - Biella, Biennale di Venezia. E’ apparsa nelle pubblicazioni: Lady Dior, as seen by a new generation of italian artists, Mousse Publishing, Genova Ventimiglia Genova, Humboldt Books ed è stata nominata dal magazine Artribune come migliore giovane artista italiana per il 2017. La sua ricerca, mescola il perseguimento di “apparizioni” quasi magiche o superstizioni con l’alternanza di comparse dal mondo della scienza. Sperimenta diversi tipi di decostruzione percettiva discutendo l’eccesso di domesticazione necessario al funzionamento di società sovraffollate attraverso la problematizzazione del significato di cura, comunità e conservazione della memoria. E’ interessata a diversi ambiti disciplinari dei quali si avvale per sviluppare dispositivi che tentano di far emergere la psiche dei luoghi e di costruire mondi plastici che stressano la
norma e gli ordini del tessuto umano in relazione all’ambiente.