Descrizione Opera / Biografia
Damiano Fasso è nato nel 1976 in provincia di Vicenza; dopo la laurea in Lettere all’Università Cattolica di Brescia, si diploma nel 2011 in Decorazione all’Accademia di Venezia. Ha partecipato ad importanti eventi, sia nazionali che all’estero, tra cui le fiere di Padova (2017), Vicenza (2017), Essen (2016-2018), Madrid (2017), Salonicco (2017), Miami (2016). Nel 2017 è stato invitato dall’Università Roma Tre a parlare del proprio lavoro al convegno ”Madre”; del 2018 sono la segnalazione al Vernice Art Prize e le collettive ”Animali Notturni” a Bologna e “Through the black mirror” a Milano. La rivista spagnola “Duckout!Magazine” gli dedica uno speciale nel numero di settembre 2017. Nel 2018 partecipa anche alla “Ottava Rassegna di Arte Contemporanea” a Casa dei Carraresi a Treviso a cura di Daniel Buso; nello stesso anno vince il “Best 15 Prize” a Paratissima Torino, e realizza a Treviso la personale “Diaphàinein” a cura di Massimiliano Sabbion. Nel 2019 a Bologna partecipa a “Paratissima” e alla personale “Natural Madness” a cura di Luca Ricci all’ExForno MamBO. Ad aprile 2019 espone al Castello Sforzesco di Novara nella collettiva ”Paratissima Talents” curata da Francesca Canfora.
In queste due serie fotografiche, ispirate alla teoria della società- “simulacro” di Baudrillard e all’estetica dei videogames, il tema centrale è quello della ironica destrutturazione dei messaggi e della vacuità delle immagini; nell’epoca di Instagram e dei social network, le immagini si sono fatte effimere e subiscono un continuo riciclo e uso che le svuota di significato; il meccanismo della pubblicità e del consumo fa sì che i messaggi mandati attraverso di esse diventino manipolabili ed ambigui: nelle fotografie vengono inscenate delle morti effimere e palesemente artificiose di alcuni robot, trattate però come se fossero dei “selfie” o delle immagini banali; le stesse foto sono scattate con la fotocamera di un iPhone e gli scenari sono costruiti in modo artificioso, in un contesto quotidiano e casalingo. L’effetto che si genera è quello di un contrasto tra il messaggio (le scritte in giapponese scorrono come se fosse un cartellone pubblicitario o un videgame) e l’aspetto ludico e pop delle fotografie: esse sono in realtà diventate degli oggetti di uso quotidiano al limite del banale, e anche i messaggi da esse veicolati sono diventati effimeri: la morte stessa appare ironicamente esorcizzata e fasulla, con il sapore di una mise-en-scéne che fa quasi scordare che il robot che muore è anche metafora dell’uomo moderno, vittima della tecnologia e del consumo.