”L’acchiappasogni dei banchieri” (titoli arternativi: Strane riserve frazionarie o Percentuali falliche, ovvero fallicamente fallaci o I sogni dei banchieri diventano realtà)
mista, alluminio + metallizzazione + cartucce e monete da 10 centesimi. installazione a parete
cm.95x105x14
“I soliti pacchi” (titoli arternativi: Pacchi regalo per tutti o Pacchi fatti ad arte o L’Arte dei pacchi)
mista, alluminio + metallizzazione + carta da pacchi - installazione a parete
cm. 110x130x14
“Fame d’artista” (titoli arternativi: Il piatto piange)
mista, alluminio + metallizzazione + piatti da parete - installazione a parete
cm. 109x28x14 + 109x28x14 + d.28 cm. x 2
Opera n.23 Dal primo atto (intitolato ”Finanza, la moltiplicazione dei pani e dei pesci”) del catalogo ufficiale dei REVOLVER: gli appendiabiti a cui girano le...”svuotatasche”, intitolato LA CARICA DEI MILLE (qui si rifà l’Italia o si muore - opera in 3 atti)
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I REVOLVER, gli appendiabiti a cui girano le... ”svuotatasche”, nascono dal profondo ”disappunto” (per voler proprio usare un eufemismo), dal disagio, dal malessere, dalla vera e propria rabbia di chi vede saltate le condizioni della leale competizione economica, e facilmente intuisce l’enorme crisi che si aprirà da lì a pochi anni...(e che naturalmente sarà destinata a diventare profonda crisi sociale, nel senso più ampio del termine, non solo crisi economica quindi...). Rabbia: sentimento fuorimoda nella società contemporanea, lo sappiamo bene, che tende a premiare e promuovere solo il già dilagante buonismo, distruttivo ”per definizione”, essendo incline ad opprimere ogni sentimento di ribellione alle ingiustizie, di voglia di combattere per costruire qualcosa di migliore. Un buonismo che, nella migliore delle ipotesi, risulta quanto meno antimeritocratico, promotore del mantenimento di uno status quo che non è più possibile mantenere già da molto tempo. Rabbia: un sentimento da domare e incanalare: cosa assai più facile da dire che da fare. A volte può davvero assomigliare al mare. Ma ci si deve riuscire, se si vuol reagire senza finire. Questo è quello che cercai, ed ancor oggi cerco di fare. Perché lo scopo finale dei Revolver, arte per fare, arte per cambiare, deve in realtà ancora cominciare… I Revolver sono nati l’8 settembre del 2004, guardando, in particolare, una cinquantina di metri di scansie piene di pesanti stampi per presse meccaniche, espressione di ”lavoro vero”, intendendo indicare con tale espressione il lavoro prodotto da tutti coloro che col loro impegno e i loro sacrifici, qualunque sia il campo in cui operano, aggiungono un valore aggiunto reale a ciò per cui poi si fanno pagare. ”Lavoro vero” che stride fortemente col già allora (2004) abbondantemente dilagato e ancor oggi dilagante ”lavoro di carta”, ossia quello prodotto da tutti coloro che riescono a farsi pagare dando assai poco, o addirittura nessun valore aggiunto, ai prodotti o servizi che offrono. Quel sano e vitale ”lavoro vero”, unica via percorribile per il mantenimento del benessere e del progresso nella società, avrebbe finito inevitabilmente col soccombere, per mano di coloro che poi, addirittura, non solo non offrivano, e continuano a non offrire..., valore aggiunto, ma depredano coloro che lo offrono, alterando alla base, a livello sistemico, le regole dell’onesta competizione, sfruttando, solo per fare pochi esempi, i paradisi fiscali, i sistemi finanziari drogati, la ”moltiplicazione dei pani e dei pesci” permessa dalle sempre più distorte regole bancarie e della finanza, le inaccettabili commistioni tra grandi gruppi finanziari e attività economiche reali,... Tutti mali devastanti per la società, che avrebbero portato all’inevitabile crisi di gigantesche proporzioni che è ormai da tempo sotto gli occhi di tutti... Tutto questo, tutti i massimi distorcimenti nei ”massimi sistemi” che governano il mondo, combinati con le problematiche endemiche della società italiana, ammorbata da troppe ruberie, parassitismi, sprechi, inefficienze e caste autoreferenti arroccate sui loro bastioni, esplose nel sottoscritto davanti a quelle scansie col loro carico di pesanti, sudati, tecnologici stampi, colpiti a loro volta da lontani colpi sparati da mortai ”di carta”, da fulmini di guerra della finanza che si abbattevano a terra. Perchè il problema è proprio rappresentato dal fatto che le tempeste, anche lassù in alto, nei ”massimi sistemi” appunto, sono lontane, ma si abbattono inevitabilmente a terra, e continuare a cercare sempre e solo un piccolo riparo, anche di fortuna, anche quando ”le stagioni sono troppo cambiate”, senza chiedersi come mai siano troppo cambiate, e se davvero non si possa far nulla per ripristinare un clima più umano lassu’, forse non rappresenta sempre nè la migliore nè l’unica possibilità di reagire a quelle tempeste scatenate artificialmente, che si abbattono poi appunto a terra con l’effetto, seppur quasi invisibile, di uno tsunami sociale. E in quel “quasi” è possibile scorgere i corpi di coloro che sono stati suicidati; i capannoni e i tanti altri esercizi abbandonati, a volte ancora nuovi, spesso talmente malridotti da apparire realmente sventrati, se non nel corpo, senz’altro nell’anima. Come chi nel mondo non ha più un posto, ma sapendo che potrebbe in realtà dare ancora tanto, letteralmente ti guarda, e muovendo le labbra di un portone o una serranda, pare a volta te lo chieda direttamente, quasi implorante: “davvero per me non c’è più posto?!?”. Se è vero che le parole sono pietre, è altrettanto vero che le pietre possono parlare. Se poi tante son anche già macerie, impossibile è non sentire. Quelle scansie ordinatamente stipate con tutti quei pesanti stampi, diventarono appunto la sintesi espressiva in cui metaforicamente poteva racchiudersi tutto quel ”vero lavoro” citato in precedenza, che veniva preso di mira già da troppo tempo dagli attacchi a base di leggere, ma devastanti, ”bombe carta”, sferrati nell’oscurità legislativa e nel generale stato d’assedio della società civile (che prontamente reprime ogni eventuale singola reazione di civili, oltre tutto già sfibrati e sfiduciati da anni di guerra mediatica e pertanto annichiliti e incapaci di alcuna reazione incisiva), da un sistema finanziario deviato, drogato all’inverosimile, minitassato e immune da ogni controllo, capace come detto di ”moltiplicare i pani e i pesci” affinchè pochi mettano le mani su tanto, un tanto sempre meno nelle mani di molti, appunto, e sempre più concentrato nelle mani di pochi, anzi pochissimi, e destinati a diventare sempre meno. Con l’effetto finale di spogliare di tanto, spesso anche di tutto, coloro che hanno sempre vissuto e lavorato onestamente e, nel lungo periodo, di impoverire comunque la società in genere. Un lungo periodo comunque breve, composto in fondo di pochi lustri. Tutto ciò miscelato con la già di per sè esplosiva miscela tipicamente italiana anzidetta, fatta di burocrazia inefficiente e dispendiosa, di ruberie elevate a sistema e di caste intoccabili, che già di per sè è stata appunto in grado di far deflagrare l’Italia (quanto meno il suo debito pubblico...), distruggendone il prestigio, facendo a pezzi a molti suoi cittadini persino l’onore ed il morale. Artifici. Solo artifici. Tutti artifici a cui rispondere magari con altri artifici. Fuochi, nella fattispecie. Fuochi d’arteficio, che possano convogliare, o anche solo esprimere, la sana rabbia distruttrice, apportatrice di quella sana voglia di azzeramento indispensabile per perseguire un reale cambiamento. Quella rabbia benefica, vivifica, salvifica, eppure in genere bandita appunto dal dilagante buonismo… (dilagante quanto meno in tutti i settori che non includano le repressioni a vario titolo e di varia natura attuate dalla polizia civile, che non a caso è diventata in certi casi più simile a polizia militare, al servizio di entità straniere: di terra e di sentire). L’anima dei Revolver non è un’anima frustrata, né tanto meno un’anima sproloquiante sui ”massimi sistemi”, bensì un’anima cosciente della realtà che la circonda, a qualunque livello, e nonostante questo un’anima positiva e propositiva. Ho voluto produrre i Revolver come fossero il canto del cigno di una piccola azienda metalmeccanica che sarebbe stata costretta a chiudere, destino inevitabile per tante piccole attività... Ho abbracciato ed imbracciato l’arte perché è una delle forme di quel Tutto che è tutto quel che può abbracciare chi ingiustamente vien privato di tutto il resto, da un sistema artefatto e corrotto, e non vuol commettere un delitto né tanto meno un insano gesto. P.S. Mi scuso per la lunghezza di questa spiegazione dell’opera, ma è difficile sintetizzare i vari problemi confluiti e giunti all’apice della mia consapevolezza in quel già ricordato 8 settembre 2004 (giorno in cui mi resi conto che quella attività, come tante altre, non avrebbe comunque avuto scampo, perchè la società in cui ci trovavamo allora era, ed è ancora, nel mezzo di una vera e propria guerra), scoppiando appunto nell’animo del sottoscritto, dando vita al devastante e silenzioso boato dal quale nacquero i Revolver...I Revolver sono gli appendiabiti a cui girano le “svuotatasche”, nati per dar corpo a un sentimento (diffuso ormai da troppo tempo...). Figli di un’arte che si lascia guidare dall’atavica tensione vitale presente nella profondità di ogni animo umano.© 2004 - Arsen Ale GiraMentiREVOLVER: IL SIMBOLO DELLA Grande Crisi CHE SAREBBE ARRIVATA.BiografiaArsen Ale è un artista dal percorso atipico, che per quelli che vedono nell’arte la strada maestra seguita dal sentire e dal pensare alternativi allo ”status quo”, è semplicemente il percorso più tipico che un artista possa seguire, soprattutto se poi, come lui, si predilige l’arte concettuale e si considera il mezzo espressivo utilizzato prevalentemente un mezzo, non un fine. Come dice egli stesso, anche volendo provarci, troverebbe estremamente difficile esprimere la complessità del mondo contemporaneo e le sue appunto complesse problematiche, senza attingere a qualunque elemento si possa trovare sul proprio percorso, nessuno escluso, badando al fine e non al mezzo.Ha un background tecnico-imprenditoriale. Poetica e un po’ d’etica se li ritrova dalla nascita, cosi come creatività e creattività: tutta roba che non aiuta molto a vivere in questa società e così è sceso in strada, o meglio, dal suo mezzo in cui si è ritrovato ha cercato nella sua cartina il percorso per l’arte e l’ha imboccato, visto che crede sia l’unica strada che porti al vero progresso, ed Arsen Ale ha sempre avuto fede nell’uomo e nel progresso, che è a sua volta l’unica arma tangibile che ha l’uomo per capire qualcosa in più del mistero che lo avvolge. Sarà un percorso molto lungo, se avrà pane, scarpe e cuore per poterlo fare, molte opere da installare, nel mondo reale o in quello virtuale, l’importante è che possano far riflettere, non nel senso che va molto di moda però, fatto di molte “riflessioni a specchio”, con la ”cam” dell’iPhone come ispiratore, per mancanza probabilmente di un sentire personale, o forse per troppa agiatezza, quella che porta all’arte perchè magari non si sapeva dov’altro andare, come fosse un week-end lungo una vita da passare al mare, mentre una fetta sempre più grossa della società rimane tutta la vita reclusa in città. No, non a questo tipo di riflessioni mira l’artista, bensì a quel tipo di riflessioni che portano a voler provare a incidere, provare a cambiare qualcosa, come l’arte, che è guardia della società così come le forze dell’ordine sono guardia dell’ordine costituito, dovrebbe fare, almeno ogni tanto.