Descrizione Opera / Biografia
La primavera delle rane
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“Ti dirò che venendoci mi piacque.
Questo lago mi parve il mare antico.
E fui lieto di viver la tua vita, di esser morto per tutti,
di servirti nel bosco
e sui monti.
Qui le belve, le vette, i villani non san nulla,
non conoscono che te.
È un paese senza cose passate,
un paese dei morti.”
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Dialoghi con Leucò, Cesare Pavese, 1947
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Quasi un anno fa mia mamma si è ammalata di una grave e infame patologia, che la sta lentamente consumando sviluppando una paralisi corporea.
Quando lo scorso 9 marzo è iniziato il “confinamento domestico obbligatorio”, dovuto al contenimento della pandemia di Covid 19, io mi trovavo fortunatamente già a casa dei miei genitori, su in Trentino.
Durante questi mesi ho approfittato del tempo a disposizione per lavorare in campagna, leggere e disegnare.
La casa nella quale mi trovo è infatti particolare: si tratta di un tipico maso trentino, cioè un’abitazione solitamente ubicata nei boschi o in montagna a qualche chilometro dai paesi, potenzialmente autosufficiente perché adibita al mantenimento di piante da frutto e bestie.
È la casa della mia infanzia, dove sono cresciuto e da cui manco ormai da dieci anni, cioè da quando mi trasferii a Venezia per studiare la pittura e lavorare nell’industria culturale cittadina.
I continui e necessari lavori di mantenimento di una campagna in mezzo al bosco fino a qualche mese fa gravavano interamente su mia madre, che per contro non si lamentava, pur sbrigando pure le faccende domestiche e svolgendo il proprio lavoro di professoressa alle scuole medie.
Ora, per essere portata avanti, tale enorme mole di mestieri esige nuove braccia ed energie.
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Mi interessa provare a raffrontare tre tempi che in apparenza sembrano tra loro così distanti: la vita in una città universitaria, con le sue speranze e precarietà sistemiche; la rappresentazione virtuale del mondo e delle relazioni, accentuato da questo periodo di autoreclusione e immobilità, con il senso di ansia e frustrazione interconnessa che è in grado di veicolare e generare; il continuo lavorio in campagna, con i suoi ritmi e bisogni che appaiono alieni a questo tempo quantificato e qualificato in minuti ed ore.
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Per fare ciò ho iniziato a raccogliere attrezzi “rotti” abbandonati in giro, che pazientemente attendono di essere riparati o dimenticati.
Trovo interessante la storia di interruzione di un mestiere che raccontano, il trauma che sottintendono, il fascino del silenzio che sanno gelosamente e saggiamente conservare.
Poi ho potato gli olivi. Un lavoro bello e gratificante, che a sua volta racconta una pratica di violenza transgenerazionale, un metodo per crescere che contempla la cernita del troppo ed il respiro della pianta.
Infine ho camminato molto. Esplorando i limiti del “confine domestico” di cui parlano le leggi, del quale la mia memoria è inzuppata di ricordi, nel quale si accatastano i tramandamenti dai genitori ai figli.
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Da tali spunti è nato questo dipinto, che costringe insieme i tanti livelli di senso e insensatezza che mi stanno attualmente sconvolgendo nel profondo, obbligandoli ad un confronto risolutivo.
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Il titolo, La primavera delle rane, ha una duplice radice referenziale che raccorda la narrazione intima del vissuto privato al collettivo e al politico cui esso può alludere e, di fatto, sottintende.
Le rane in questione sono sia l’animale fisico, osservato quotidianamente in uno stagno presente nell’olivaia dove lavoravo, che una metafora di questo tempo incerto e a suo modo rivoluzionario, nell’accezione coniata da Noam Chomsky per descrivere l’accettazione sociale alla cessione di parte della nostra, fino a prima irrinunciabile e fondamentale, libertà di movimento.
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Un ulteriore dettaglio narrativo.
All’inizio le rane non erano previste come soggetto della tela ma, dopo aver fatto vedere il dipinto quasi ultimato a mia madre fu lei a consigliarmi di inserirle. Per noi si tratta di un ricordo condiviso. Questa strana primavera trascorsa insieme ci ha permesso di vederle nascere e crescere attraverso tutti gli stadi della loro naturale metamorfosi, da immobili uova a schivi anfibi. Tutti i giorni osserviamo il loro stagno e prestiamo grande attenzione alle sue continue mutazioni, specchiandoci nella torbida acqua nel tentativo di scorgerle, ormai cresciute e pronte a vivere la propria vita.
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Filippo Rizzonelli
Born in Riva del Garda, Italy, on 18/06/1991.
Graduated April 2017 at the Academy on Fine Arts of Venice. Currently enrolled in the MA Visual Arts course at IUAV Venice.
Co-founder and member of artist-run space Zolforosso and Collettivo Coyote.
I’m just a hunter-gatherer of objects and images.