OPERA IN CONCORSO | Sezione Pittura

 | Pensavo fosse una dipendenza, invece era spiritualità

Pensavo fosse una dipendenza, invece era spiritualità
acrilico, tela (libera da telaio, a richiamare il bisogno di fuga dalla realta’)
100x100cm

Renton

nato/a a Milano
residenza di lavoro/studio: Vacarisses, SPAIN


iscritto/a dal 07 apr 2024

https://whereartmeetsspirituality.com


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Descrizione Opera / Biografia


Il 2024 è l’anno della conferma dell’intelligenza artificiale, ultimo tassello di una tecnologia sempre più connessa all’uomo e sempre più presente nella vita di tutti i giorni.
Tra i vari aspetti legati all’avanzamento tecnologico ce n’è uno spesso trascurato, che però ha un impatto profondo su tutti noi: la percezione che abbiamo di noi stessi.
L’avvento della tecnologia “a portata di mano” ha abbattuto tantissime barriere professionali e sociali: ciò che prima era accessibile a pochissimi, ora è accessibile a tutti.
Così negli ultimi 20 anni abbiamo assistito a una crescita esponenziale di persone che ottengono successi più o meno grandi, e si è instillata in noi l’idea che avere quel tipo di successo sia prerogativa di tutti, e che quello sia ciò a cui dovremmo tutti aspirare.
Mentre 30 anni fa si ammirava chi riusciva a costruire qualcosa si grande, ora quasi si disdegna chi non ce la fa.
Questo ha creato un contesto sociale di forte competitività, produttività estrema e voglia ossessiva di ottenere risultati sempre più grandi, tanto professionalmente quanto personalmente.
E se non siamo noi a voler ottenere risultati a tutti i costi, questo è comunque ciò che ci si aspetta da noi, e la pressione è la stessa.
Forse non ci pensiamo spesso, ma qual è l’impatto di tutto questo sulla nostra salute mentale?
E qual è l’impatto sulla percezione che abbiamo di noi stessi?
Perché c’è una linea molto sottile tra sana voglia di migliorarci, e sentirci, invece, inadeguati così come siamo.
Basti pensare alla filosofia del “diventare la migliore versione di noi stessi”, come se essere “semplicemente” noi stessi non fosse più abbastanza.
Il 2024 non è solo l’anno dell’intelligenza artificiale, è anche l’anno dei crolli mentali, delle fughe di massa dal lavoro, dei suicidi in forte crescita.
Come se la pressione fosse diventata così insostenibile, che ora sentiamo sempre di più il bisogno di fuggire dalla realtà che ci circonda.
Qualcuno purtroppo lo fa drasticamente, altri invece trovano sollievo nello sport o nella meditazione; altri ancora nell’abuso di sostanze di vario genere.
Io la mia fuga dalla realtà pensavo di averla trovata nell’arte, il mio universo parallelo lontano da tutto e tutti.
Solo che l’arte ha anche questo potere intrinseco di farci aprire a noi stessi, e di metterci a nudo di fronte alla nostra natura più autentica.
Così, quella che pensavo fosse una dipendenza, si è rivelata essere spiritualità.
Ovvero un momento in cui entrare in contatto con me stesso su più livelli, e ritrovare una connessione più intima anche con desideri e priorità meno materiali, ma per questo non meno importanti.
Il dipinto che propongo qui, intitolato proprio “Pensavo fosse una dipendenza, invece era spiritualità”, segna questa presa di coscienza a livello personale, e offre anche uno spunto di riflessione che mi sento di condividere:
se come civiltà sentiamo un costante bisogno di staccare la spina, può essere un segnale che ci siamo un po’ troppo disconnessi da noi stessi e da ciò che è davvero importante per noi?
E se così fosse, come possiamo trovare un equilibrio tra la voglia di crescere e di ottenere risultati concreti, e il rimanere, però, anche connessi con la nostra natura più autentica e con la nostra sfera spirituale?
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“L’arte è un’opportunità di riflessione e dialogo, a me piace cogliere questa opportunità e condividerla.” ~ Renton