OPERA IN CONCORSO | Sezione Fotografia

 | FLAT / Perchè un algoritmo elimina l’uomo da una stanza piena di solitudine? (Courtesy Galleria ADD-Art)

FLAT / Perchè un algoritmo elimina l’uomo da una stanza piena di solitudine? (Courtesy Galleria ADD-Art)
fotografia analogica, composizione di 36 istantanee fuji instax square
70x70 cm

Diego Randazzo

nato/a a Milano
residenza di lavoro/studio: Milano, ITALIA


iscritto/a dal 18 mag 2023

http://www.diegorandazzo.com


visualizzazioni: 66

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Altre opere

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Flat / immagine sorgente 01
fotografia analogica, stampa ai pigmenti da scansione negativo colore 135 mm
50x70 cm

 | FLAT / Perchè un algoritmo elimina l’uomo da una stanza piena di solitudine? (dettaglio 1 di 4)

FLAT / Perchè un algoritmo elimina l’uomo da una stanza piena di solitudine? (dettaglio 1 di 4)
fotografia analogica, composizione di 36 istantanee fuji instax square
30x30 cm (singolo quadro) 70x70 cm (totali)

 | FLAT / Perchè un algoritmo elimina l’uomo da una stanza piena di solitudine? (dettaglio 2 di 4)

FLAT / Perchè un algoritmo elimina l’uomo da una stanza piena di solitudine? (dettaglio 2 di 4)
fotografia analogica, composizione di 36 istantanee fuji instax square
30x30 cm (singolo quadro) 70x70 cm (totali)

Descrizione Opera / Biografia


L’opera ‘FLAT / Perché un algoritmo elimina l’uomo da una stanza piena di solitudine?’ (vincitrice del primo premio Yicca Art Prize 2023) fa parte del macro progetto ‘Immagini simili‘ realizzato nel 2021. Tutto nasce da una riflessione emersa durante la prima fase della pandemia nel 2020: la pausa forzata, la solitudine, la scoperta della domesticità in una casa abitata da poco hanno portato Randazzo a fare i conti con la fragilità, una fragilità nuova nella sovrapposizione di personale e globale che le circostanze storiche dirompenti hanno prodotto. Laddove gli stimoli esterni sono stati banditi, l’artista ha sentito l’esigenza di gettare ponti tra il presente e il passato, tra ciò che è vicino e ciò che è lontano. Per farlo è risultato naturale cercare la materia prima in ciò che era a disposizione, ovvero il proprio archivio personale di fotografie, scattate nel corso degli anni spesso in pellicola analogica. Scorrendo i ricordi di un viaggio in Cina nell’estate del 2017, l’attenzione è ricaduta su alcuni scatti realizzati al Rockbund Museum di Shanghai, dove era in corso una personale di Philippe Parreno. Lì l’attenzione era ricaduta su una ragazza distesa a terra con il telefono in mano, in una stanza del museo illuminata da un grande lucernario sul tetto. Un’immagine non costruita esteticamente, né con particolare valore affettivo, ma più che altro documentativa: un modo disinvolto di vivere il luogo espositivo da parte della giovane cinese? O, forse, a ripensarci, si trattava di una performance? Ma, ancora, quel senso di desolazione nella stanza stanza spoglia, non pare un’anticipazione di ciò che avremmo provato tre anni dopo durante il lockdown? Quella figura immersa nello spazio bianco del white cube, immortalata piuttosto distrattamente durante le tante tappe di una vacanza, diventa un’entità affascinante proprio perché enigmatica e aperta a molteplici stratificazioni di letture. Individuata come immagine sorgente, questa diviene il cardine della ricerca da cui si diramano le diverse fasi di sviluppo illustrate nel progetto Immagini Simili. Il primo nucleo di opere nasce dall’inserimento di tale immagine in Google Images: i risultati affini selezionati dall’algoritmo sono sorprendentemente privi della figura umana. Stanze vuote, architetture spoglie, ma della ragazza non è registrata alcuna presenza’’.
Estratto dal testo critico di Bianca Trevisan
’’Nel mio archivio personale ho trovato un’immagine particolarmente evocativa e rappresentativa dei momenti di isolamento che abbiamo vissuto. Lo scatto è stato realizzato in una sala del Rockbund Museum di Shangai, durante la mostra “Synchronicity” di Philippe Parreno nel 2017. L’ampia sala immersa nel vuoto, la ragazza in solitudine, la pareti ed i pavimenti protagonisti dello scatto mi hanno convinto che dovevo iniziare da lì. Da questa fotografia ha origine il progetto ’Immagini simili’: partendo da questo scatto ho analizzato quali associazioni poteva fornirmi ‘Google immagini’ attraverso il metodo di ricerca per ‘immagini visivamente simili’. Il risultato è disarmante. Infatti l’algoritmo riconosce solo le pareti vuote e la minima prospettiva del pavimento, facendoli protagonisti di tutti i risultati. La figura femminile non viene riconosciuta da Google, la componente umana è completamente eliminata. Un paradosso tecnologico che fa riflettere. Le polaroid, realizzate ri-fotografando i risultati di google con una camera istantanea, danno vita ad un archivio immaginario di luoghi sconosciuti (perché mai conosciuti di persona) ma nello stesso tempo vicini, perché ci accomunano tutti nella dimensione dello sguardo’’.
Diego Randazzo
Per approfondimenti sull’opera visita la pagina: http://www.diegorandazzo.com/portfolio/flat-perche-un-algoritmo-elimina-luomo-da-una-stanza-piena-di-solitudine/
Diego Randazzo (Milano 1984) vive tra Milano e Belluno. Consegue la maturità al Liceo Artistico di Brera e si laurea in Scienze dei Beni Culturali presso l’Università degli Studi di Milano. Il suo lavoro, articolato su diversi media, è concentrato su alcuni dei principali temi della cultura visuale: l’esperienza dell’immagine; i dispositivi del guardare, che diventano spesso, a loro volta oggetto/soggetto dell’opera; l’archeologia dei media, intesa come indagine sulle origini tecnologiche dello sguardo moderno e contemporaneo, lo sguardo della macchina, aggiornato sul le più recenti innovazioni; la dimensione del racconto; l’immersività o la straniazione prodotta dal rapporto con il medium. Sue opere son presenti in collezioni pubbliche e private. Finalista in svariati premi d’Arte contemporanea (The Gifer Festival, Premio Cramum, Arte Laguna, Combat Prize, Radar Mexico, Arteam Cup, Yicca Prize, Premio Ora). Dal 2019 la sua installazione #Kids, tributo alla tragedia dei Piccoli Martiri di Gorla, illumina la facciata di Casa della Memoria di Milano. Collabora con la Galleria ADD-art e la Galleria Milano.