OPERA IN CONCORSO | Sezione Pittura

 | ZERO

ZERO
tecnica mista, argilla, cenere, patina metallica, bitume, colori ad olio, foglia alluminio battitura simil argento e rame, carboncino su tela.
100x150 cm

Elisabetta Caizzi Marini

nato/a a Arezzo
residenza di lavoro/studio: Bologna, ITALIA


iscritto/a dal 30 apr 2021


Under 35

http://www.elisabettacaizzimariniart.com


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Descrizione Opera / Biografia


Bio
Elisabetta nasce ad Arezzo il 13 dicembre 1990. Frequenta gli studi classici. Nel 2011 frequenta l’Accademia di Belle Arti di Firenze. Intraprende nel 2015 la specialistica in Grafica d’Arte presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna, percorso che si conclude nel luglio del 2018 basando la sua ricerca sul filosofo epistemologo Gaston Bachelard.
Negli ultimi anni la ricerca si è avvicinata sempre di più alla sacra arte della decorazione, tecnica che spinge a voler abbandonare ogni atto di possesso dell’opera.
L’intenzione è quella di elevare la ricerca fino alla purezza dell’assenza del Sé.
Attualmente Elisabetta vive e lavora a Bologna.
‘’ ZERO ’’
1 Primo numero della successione naturale, unico numero naturale che non sia il successore di un altro; come numero cardinale indica la mancanza di ogni unità, cioè è il numero cardinale dell’insieme vuoto.
2 In strumenti di misurazione, posizione segnata dall’indice in condizioni di riposo.
3 Nella votazione scolastica, il più basso punto di merito, denotante insufficienza assoluta.
4 Qualità o quantità che non merita d’esser presa in considerazione.
Descrizione
Gli eventi traumatizzanti e con essi le emozioni vissute ci costringono, oggi, in cupi castelli di Elsinore. Cerchiamo in vano il modus operandi per reprimere questi ricordi nell’ombra e farli tacere, ma il fantasma di noi fragili, nel passato, si manifesta rendendo ossessiva la nostra esistenza. Stratificazioni, vuoti emotivi, epifanie materne di dolore. L’attesa amniotica, caverna primitiva, ci protegge, tuttavia il tessuto epidermico permette alle ombre, colpite dalla luce, di essere viste. Le immagini intraviste dall’abitante, sono le stesse immagini archetipiche che hanno costruito nei secoli il DNA di tutti gli uomini. L’atto artistico non ha passato ma allo stesso tempo vive e si nutre di gesti già compiuti ma mai identici, esso possiede un carattere inatteso ma che sfugge alla casualità. L’immagine nella sua non riproducibilità diviene ricchezza di una coscienza ingenua e soggettiva che inconsapevolmente parla un linguaggio universale, riuscendo così ad elevare i propri tormenti raggiungendo un effetto di catarsi. Le immagini acquisite, lontane dal mondo immaginifico proprio del sogno, vivono nel giorno dove l’anima è sveglia e l’io è cosciente. Dentro il rifugio la coscienza si trova in uno stato di veglia ma allo stesso tempo lontano dal reale, qui lo spirito si distende ma l’anima è vigile spinta verso la conoscenza. Mediante la creatività la coscienza immaginante si riscopre ad essere l’origine e non il prodotto di essa. L’immaginazione ci distacca allo stesso tempo dal passato e dalle realtà, aprendoci alla direzione dell’avvenire. Le immagini percepite colpiscono l’essere assopito subendo una spinta verso l’esterno. La funzione dell’irreale nelle mia arte giunge a rendere inquieta la soggettività. Camminiamo sull’ argilla sepolta da strati di materia, qui saremo in grado di ritrovare noi stessi, di interrogarci se la torre della nostra anima sia mai stata del tutto rasa al suolo. Non solo i nostri ricordi ma anche le nostre dimenticanze trovano qui sede, il nostro inconscio dimora e la nostra anima ne è il custode.
 
 
 
 

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