Il Giardino delle Vergini Immacolate
mista, statuette in gesso, terra cotta e resina, smalto, telo cerato
dimensioni d’ambiente (170x200 circa)
Due gruppi di statue raffiguranti la Madonna e Biancaneve sono affiancati al telo plastico con immagini floreali. Le statue lasciate con i loro colori normali sono parzialmente ripitturate – di rosso le Biancaneve e di blu le Madonne – tutte complessivamente mantenendo la pittura alla stessa altezza (alcune sono interamente ricolorate, altre più alte, sono pitturate solo in parte).
Questo lavoro indaga il cortocircuito semantico come tema di ricerca sul valore e lo spessore culturale del linguaggio. Due figure femminili appartenenti ad universi semantici differenti sono accostate e in qualche modo rese omogenee dall’intervento pittorico, uniforme anche se di colore diverso. La linea che risulta dall’intervento pittorico complessivo su tutti e due i gruppi di statuette segna un confine e crea un effetto di ulteriore straniamento nella lettura degli oggetti per la loro originaria collocazione nell’ambito dei significati. Un sotto per così dire riconoscibile e un sopra ormai astratto e scollato dalla realtà. La solida associazione di forma e contenuto, così, si dissolve; le forme divengono volumi ma contemporaneamente perdono peso.
La circostanza che ha dato l’avvio a questo lavoro è l’aver visto da parte degli artisti il giardino di un signore nella zona sud di Marostica. Qui lungo tutto il perimetro della sua casa sono costruiti un numero eccezionale di ambienti e teatrini fino a saturare tutto lo spazio disponibile. Quello che colpisce gli artisti è l’associazione apparentemente casuale tra figure di nani e biancanevi con figure religiose di madonne, santi e divinità anche di altre culture. Presepi con cervi e samurai, padre pio e maestro ioda, targhe commemorative e preghiere, tovaglie con motivi di frutta e fiori, il tower bridge e la casetta in Canadà.
Di questa circostanza, come premessa alla ricerca sui temi affrontati in questo lavoro, gli artisti rendono conto nel libretto prodotto per l’occasione, dove includono immagini del loro archivio personale di stranezze e di questa esplorazione nel giardino delle statuette tutte ripitturate di rosse e blu.
Tutto ciò solleva una riflessione sulla dinamica associativa, sull’accumulo e sulla loro reciproca forza che vince qualsiasi altra motivazione o considerazione sui significati delle forme.
Si verifica una sorta di azzeramento della funzione comunicativa del linguaggio, basata su un patrimonio di significati condivisi per i quali i segni riferiscono a qualcosa che è compreso da tutti. E contemporaneamente il ricrearsi involontario di un nuovo linguaggio. Forse un linguaggio privato, forse la riduzione di un atteggiamento di scollamento progressivo dalle interpretazioni condivise della realtà che avanza nella società globish dove tutto può significare qualsiasi cosa perché non dipende più da essa ma dalla rete complessiva delle disponibilità di forme uniformi e dagli esuberi di immagini non referenziali.
Il tema del giardino, che qui è ripreso in chiave ironica come luogo delle contraddizioni o delle giustapposizioni insensate, è usato per indicare un contesto chiuso, circoscritto da un recinto. Qui sembra trattarsi del recinto dell’insensatezza che forse protegge dal mondo, forse lo respinge. Dissociazione o rifiuto, qualsiasi sia la volontà che sottende questa dinamica di azzeramento semantico, senz’altro si tratta di un allontanamento dalla dimensione comunicativa delle reti umane concrete.
Questo lavoro solleva la questione, non la risolve, ovviamente. Ne fa un tema d’analisi estendibile al nostro rapporto con le immagini e con i significati ad esse connessi.
Testo Silvia Petronici
PetriPaselli - Bio
Originari di Vergato, vivono e lavorano a Bologna.
Amici fin dall’infanzia, il loro lavoro insieme inizia a maturare nel tempo fino ad arrivare ad una consapevolezza critica e artistica nel 2007.
L’accumulo, la ricerca di una estetica del quotidiano e il valore simbolico di alcuni oggetti sono pratiche a cui vengono abituati inconsapevolmente dalle relative famiglie fin da piccoli.
Il collezionismo e l’infanzia diventano quindi fin da subito due filoni della loro ricerca, spesso intrecciati tra di loro. La loro pratica artistica non ha esclusivamente l’obiettivo di parlare di questi temi, che vengono spesso usati dagli artisti come bacino da cui attingere a seconda del bisogno. Un enorme archivio di oggetti, ricordi, momenti condivisi, vere e proprie collezioni, contatti con collezionisti “sui generis” vengono usati, decontestualizzati e capovolti dagli artisti nelle loro fotografie e installazioni. Il pensiero che un oggetto sia catalizzatore di esperienze e di emozioni contraddistingue i loro interventi, così come l’idea che un oggetto, o immagine, della propria vita privata possa provocare una sorta di epifania nel fruitore delle loro opere, nel quale ci si riconosce e immedesima: un continuo dialogo tra la memoria privata e personale che attraverso la pratica artistica diventa pubblica e condivisa.
Le loro opere parlano di distanza. Di distanza tra l’oggetto e la realtà al quale l’oggetto si riferisce o ne è l’imitazione. Lo sfasamento tra realtà presentata dagli artisti e ciò che si conosce, o si pensa di conoscere, crea continui corto-circuiti visivi e di senso.