Descrizione Opera / Biografia
NEGENTROPY
Gli apparati inanimati della tradizione pittorica borghese che, di volta in volta, rispondono ai nomi di “Natura Morta”, “Bodegon”, Still-life” ecc., sono una costante della tradizione figurativa europea. In essi si è espressa l’opulenza, il culto dell’abbondanza della monolitica e solida civiltà occidentale pre-crisi.
Ai vari Chardin, De Zurbaran, Caravaggio, Baschenis, nel ’900 si sostituisce una sequela di esperienze sul tema che, al precedente assunto borghese, oppongono un’instabilità misteriosa, priva di certezze, e che declinano sovente nella metafisica dell’intimità quotidiana o nelle derive linguistiche di un consumismo sempre più pervasivo (su tutti, gli esempi di De Chirico, Morandi, De Pisis, Warhol e il più attuale Spoerri).
Oggi, ben sottolineato dall’ossessivo ritorno al “cibo” dei più triti palinsesti televisivi (quelli inclini alla teatralizzazione di un certo quotidiano), la “Natura Morta” è divenuta un ideale campo di azione su cui verificare sia la tenuta dei tradizionali codici iconografici della cultura occidentale (non solo figurativa), sia l’aggressiva e normalizzata carica destabilizzante della imperante globalizzazione, che condanna al relativismo (Quale mai sarà il senso di una classica Natura Morta presso un cinese, un nigeriano, un pakistano?).
In tal senso, il “quadro” non è più assoluto identificativo (estetico ed etico) in cui un pensiero forte si identifica e si disvela, ma un teso campo di battaglia su cui entrano dialetticamente in gioco sia la pretesa all’immagine (una condanna occidentale, a quanto pare, visto che alla crisi della stessa si è risposto con una sua ipertrofica produzione), sia le strutture che la determinano (linguistiche, storiche, iconologiche) il cui funzionamento è ormai precario.
L’immagine, così, anche se ricalcante i vecchi schemi noti, più che un dato certo è il risultato di una drammatica “tensione a...” , ugualmente individuabile nella sua salvifica e dubbia fase di ordinamento (Negentropy), sia nel suo inesorabile disfarsi, che ne rivela subdolamente l’inefficacia informativa (Entropy).
GIOVANNI GUADAGNOLI si è laureato in Lettere e Filosofia presso La Sapienza di Roma. Si interessa di ricerca fotografica da più di tre decenni e diversi sono gli ambiti a cui ha dedicato la sua attenzione: dal ritratto al nudo, dalla fotografia pubblicitaria (tre campagne per Giorgio Armani) alla rappresentazione della città e del paesaggio. Il suo interesse primario è concentrato, però, sull’analisi dei profondi turbamenti che minano il concetto di “vero” e sulla conseguente destabilizzazione che investe i codici della rappresentazione fotografica.
I suoi lavori sono stati esposti in numerose mostre, in Italia e all’estero, sia personali che collettive; tra le ultime più rilevanti, “Paris Photofever”, a Parigi, dicembre 2014, e “The Grass Grows”, a Basilea, giugno 2014. Diversi anche i critici che hanno scritto su di lui. Nel numero 59 di “Gente di fotografia” (Settembre 2014), viene pubblicato un suo portfolio sulla ricerca “Mimesis: declinazione”, a cura di Gigliola Foschi.