Le opere che ho scelto per il Premio Combat, sono tutte figlie di un percorso che nasce dall’esperienza e suggestione letteraria emerse dal re-incontro illuminante con la tragedia Greca. Sofocle ci lascia un Edipo distrutto e accecato, deve togliersi quegli occhi che, portandolo a osservare solo l’esterno, non gli hanno permesso di vedere dentro se stesso. Deve accecarsi, per divenire un veggente e vedere la verità dentro di sé. Edipo è colui che non si conosce, ignaro della propria origine, ed agendo in base a questa inconsapevolezza provoca grandi dolori a sé, a coloro che lo amano e gli stanno vicino, financo alla città e al mondo intero.
Ecco perché le mie opere portano quasi tutte il nome di Edipo, in quanto nell’Uomo che vedo agire, pensare, vivere oggi trovo un inesorabile allontanamento dal sé, in quella cecità edipica che ci sta conducendo, ad occhi aperti ma obnubilati, verso orizzonti dis-umani.
Edipo Secondo è anch’esso avvolto da elementi di metallo più geometrici che impediscono al volto nero di vedere e capire il mondo; se ne percepisce l’angoscia anche se non ci è possibile guardarlo negli occhi. Mentre Edipo Terzo è sfregiato da tasti di computer che rappresentano quella tecnologia che sta deformando lentamente le nostre sembianze, i nostri gesti, ma anche la nostra visione del mondo, inaridita e incattivita. L’uomo sta tentando di instillare emozioni umane nei robot, senza rendersi conto di stando perdere la sua, di umanità. Un filo rosso sangue che percorre orizzontalmente l’intera opera vuole essere proprio il simbolo di una umanità (intesa come quel sentimento tutto umano sinonimo di pietas, compassione, solidarietà, empatia) appesa a un filo. Quei tasti volutamente sgraziati, vogliono gridare l’imbruttimento silenzioso cui ci stiamo sottoponendo. In-Human è scritto sulla fronte, che in inglese può significare sia Nell’umano, che Dis-umano. A noi la scelta di cosa essere. E anche in Edipo terzo, la pupilla consiste in un tasto con su scritto: Sleep. Ade, l’ultima opera che vi sottopongo, porta avanti il medesimo percorso: Un volto nero giace dietro a quell’elemento di ferro, un volto solo a cui è preclusa la luce, la libertà, uno sguardo altrui. La solitudine dell’arte, dunque della bellezza. Solo una crepa inferta a quella lama di metallica indifferenza consente, a chi ancora desidera di non lasciar solo un altro essere umano, può avvicinarsi e, in un qual modo, ritrovarsi.
Andrea