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OPERA IN CONCORSO  Sezione Fotografia

Tabia | Rifletti!
vedi ad alta risoluzione

Rifletti!
fotografia digitale, variabile
variabile

Tabia

nato/a a Roma

residenza di lavoro/studio: Viterbo (ITALIA)

iscritto/a dal 14 feb 2015

Under 35

http://www.artabia.com

Altre opere

Tabia | I due mondi

vedi ad alta risoluzione

I due mondi
fotografia digitale, variabile
variabile

Descrizione Opera / Biografia


TITOLO”Rifletti” - Da Riflessione nasce l’ispirazione2012Nikon
D3100Focal Length 18mmShutter Speed 1/320 sAperture f/18ISO/Film 200
Curriculum Opera:
2014 - DiVAG - Selezionata ed inserita nel Catalogo della Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della Città di Roma.2014 - Pubblicazione sul volume storico ”Mecenati del Contemporaneo”2012 - Esposizione collettiva FotoDonnaGrafia
Biografia Claudia CavalloLa macchina fotografica sempre in spalla: estensione e propaggine dei propri sensi, terzo occhio meccanico e mentale pronto a recepire senza sosta ogni sussurro che l’ambiente e la natura circostante possano emettere; lo sguardo vigile di chi è in attesa di cogliere un segreto; lo scatto come diario emozionale della propria esperienza. Immagini intime ed evocative di empatia ed assonanza con un mondo mobile e cangiante, misterioso e sorprendente: un respiro all’unisono con le bellezze del creato. Claudia Cavallo, in arte Tabia, è una giovane fotografa di origini romane, che vive e lavora in provincia di Viterbo. Diplomata all’Istituto per il turismo, ha studiato fotografia come autodidatta, perfezionandosi in grafica e tecniche digitali. Agli impegni come free-lance per pubblicità, editoriali e riviste, alterna collaborazioni con associazioni culturali, gruppi musicali e teatrali, e trouppe cinematografiche indipendenti, documentandone eventi e manifestazioni, backstage e performance.Procede su un sentiero di ricerca personale di ricognizione e riflessione sul paesaggio naturale ed antropico, raccogliendo suggestioni dalle inflessioni che tempo e luce sanno originare.Per trattare di questa fotografa, forse si può partire dallo stretto legame che intercorre tra immagine e parola, in sintonia con una concezione del proprio strumento come relazione e comunicazione. I titoli di ogni sequenza o di ogni singolo scatto, infatti, sono calzanti e rivelatori, divengono parte integrante dell’intero progetto: propongono chiavi di lettura e sollecitano l’osservatore a scavare oltre le apparenze. Ancora parole troviamo nel suo sito (www.artabia.com), dove Claudia appunta riflessioni ed accompagna le proprie esperienze con frasi e citazioni, che ne svelano intenti e progettualità: “fotografo oggi i ricordi di domani”; oppure, traendo liberamente spunto da “Ritratto in seppia” di Isabelle Allende: “la macchina fotografica può rivelare i segreti che l’occhio o la mente non colgono”; ed ancora “un oggetto o un corpo dall’aspetto comune, se osservati con vera attenzione, si trasformano in qualcosa di sacro”. Annotazioni con cui ci guida all’interno del suo universo figurativo, che ne riassumono obiettivi e poetica:Tabia cerca di cogliere la magia insita nello spettacolo del mondo; ricerca una bellezza che vada oltre i confini del soggettivo. Si sofferma su particolari ed atmosfere cui noi non siamo più in grado di prestare attenzione, per trasformarli in pure emozioni , di senso panico ed adesione totale, simbiosi e scambio linfatico con paesaggio ed ambiente naturale. I soggetti: da minuti dettagli “insignificanti” alla vastità e monumentalità del territorio. La ricerca del Sublime, intesa nella sua accezione romantica ed ottocentesca, specchio dell’eccezionalità della visione del mondo ( i suoi “Soldati”, boschi sconfinati immersi nella foschia, o “It’s not my imagination”, l’immensità e la forza di sole, nebbie e nuvole), fa da contrappunto ad una concezione intimista e silenziosa, composta di piccoli avvenimenti “interiori”, brevi storie contemplate in solitudine (“Modelli per caso”, dove racconta le possibilità del quotidiano, “L’attesa”, dal tema di isolamento e solitudine, o “Riesci a sentire la sua voce? Io si…”, paesaggio estivo colto nei suoi attimi di quiete e stasi).Quello del paesaggio è un tema iconografico vasto e multiforme, il genere più trattato da fotografi amatoriali e professionisti. Prodotto di modifiche e trasformazioni radicali, il territorio oggi non può più essere considerato solo nella sua versione cartolinistica, di “bella veduta”, tramandataci dalle esperienze passate, statico ed immutabile, ma luogo di incontro, specchio della cultura di una civiltà, frontiera di cambiamento, “risultato dell’azione e dell’interrelazione degli interventi naturali e umani”. Vari sono stati gli approcci ed i tagli con cui i fotografi hanno affrontato l’argomento: da luoghi indagati alla ricerca della propria memoria e delle proprie radici alla loro trasfigurazione fino a diventare pura cifra, ascrivibile più al regno dell’arte che non a quello della fotografia; da un’indagine dell’ecosistema dal suo interno, alla fuga e l’isolamento forzato, ad un’analisi documentaristica di contraddizioni ed incoerenze. Claudia Cavallo ha prediletto un’interpretazione del paesaggio colto nei suoi aspetti quotidiani e nella propria esperienza della natura, in una ricerca di familiarità nei luoghi e nella loro fruizione meditativa. L’uomo è sempre presente, anche se mai visibile: nei covoni che lascia sui prati, nelle vecchie abitazioni diroccate, nei continui rimandi a se stessa, negli stessi titoli come metro di giudizio e di valore. Il rapporto essere umano/natura non è mai di conflitto, non c’è spazio per denunce. Questa predisposizione non si deve leggere come rinuncia, ma piuttosto utopia, progetto: raccontare di mondi ancora possibili ed equilibri non ancora spezzati.Una “deriva fotografica” quella di Tabia, moltissimi gli scatti, quasi un’ossessione: molte delle immagini presentano una composizione perfetta, secondo una distribuzione degli elementi che risponde a regole ed effetti consolidati. Il risultato è classico, ma senza retorica, fresco e lontano da enfasi. Certe volte prova ad osare di più e si appella alla casualità, secondo un’estetica degli snapshot. Questo avviene soprattutto nella serie “Around me”, raccolta di ricordi personali, dove protagonisti sono nella maggior parte dei casi oggetti comuni, trasformati in simboli o emblemi di un mondo interiore. O in “365+1”, il progetto che ha intrapreso lungo il 2012: documentare attraverso 366 fotografie un intero anno di “avventure”, “perché ogni giorno della nostra vita è un’opera d’arte”, cercando di trovare in ciascuna giornata qualcosa di stimolante. I tagli obliqui, i colori saturi, le composizioni casuali, avvicinano i soggetti e ce li rendono familiari. Nell’isolamento di un paesaggio suggestivo compare un prodotto da lei stesso inserito: una maschera, un paio di scarpe, una sfera, uno specchio da cui vedere la realtà secondo un’altra ottica. Elementi personali che comportano capovolgimenti di prospettiva, oggetti banali che grazie al loro inserimento in contesti non appropriati diventano perturbanti, rimando ad atmosfere surreali, immagini che cercano di spiazzare nei loro accostamenti insoliti.